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Errare è umano ma perseverare è diabolico

Appunto. Noi l’abbiamo rifatta un’altra volta, La Lago d’Orta Night Run, pur consapevoli di quello che avremmo trovato.
Perché in fondo corriamo anche per questo. La prima volta la fai perché “non l’ho mai fatta, dicono che sia molto bella e poi è di notte”, la seconda volta conosci il percorso e quindi sai cosa ti aspetta. Salvo poi scoprire che hanno aggiunto un pezzo nuovo.
Scrivendo questo post non escludo che ci sia una terza, perché come si dice non c’è due senza tre.

Ci piace perseverare, lo abbiamo fatto a Formentera, lo abbiamo fatto anche con la Night Run. Se poi considerate che sono 16,5 km, su un percorso che potrebbe essere considerato tranquillamente un trail, fatto di notte con una lampada sulla fronte, il diabolico ci sta tutto.

L’amico Bert mi ha accompagnato nuovamente in questa esperienza. E non senza preoccupazioni. Lui che aveva definito Fottuti Runners i suoi partecipanti. Quando ha saputo della variazione di percorso (la salita al Sacro Monte di Orta) e delle previsioni meteo poco rassicuranti, ha cominciato ad rimpiangere di essersi iscritto per la seconda volta.  A mezz’ora dalla partenza era teso come prima della finale del Mondiale 2006.
Ma non poteva più tirarsi indietro. La piazza di Orta era totalmente piena (eravamo in 1000 a perseverare) e la macchina stava dall’altra parte del lago.
Una volta partiti ci siamo resi conto che quella salita al Sacro Monte avrebbe spezzato le gambe a molti. Ed avrebbe diviso quel serpentone di luci che illuminavo il lago sabato sera. Nonostante questo passiamo abbastanza indenni pronti per affrontare la seconda salita, quella di Corconio. Peggio che andar di notte. E noi la stavamo facendo di notte quella salita. Il Bert accusa i primi segni di stanchezza e ai miei “Bert ci sei” risponde “se non aumenti il passo si”.
Finalmente raggiungiamo la cima. Ora scendiamo verso il lido di Gozzano nel cuore della notte. Il Bert perde la torcia che aveva legato al braccio e non si preoccupa nemmeno di recuperarla. Raggiunto il lido ci aspetta il ristoro. Come direbbe Caressa: “ tutti a prendersi un bel te caldo”. E poi via per il lungo lago. La seconda parte del percorso. Fatta di sterrato, radici e pozzanghere enormi. Qualcuno ci vola anche dentro (lo capisci perché in lontananza senti un tonfo con conseguente imprecazione del malcapitato) ma non si rassegna.
Il Bert non proferisce più parola da un paio di km, cerca di rubare l’acqua alle siepi che delimitano il percorso per soddisfare la sua sete, quasi fosse in un film di Rambo. “Dov’è l’isola?” mi chiede. E’ il suo punto di riferimento. Se c’è l’isola c’è il traguardo. Mi ripete la domanda per un paio di volte, nel frattempo siamo ormai vicini all’arrivo. L’isola non si vede, ma in compenso si vede Pella e il traguardo.
Lo Speaker fa l’elenco degli arrivati mentre noi percorriamo la parte finale del percorso che da San Maurizio d’Opaglio giunge al centro di Pella. Anche questa volta tagliamo il traguardo e finiamo la gara.
E ci meritiamo una birra al Cantuccio. Perché l’idratazione post gara è importante.

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Riccardo Quaglia

Runner per caso. Spanky Runner convinto.

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